QUESTA LETTERA CI E' ARRIVATA IL 18 DICEMBRE....
Cara Vera,
quando, mercoledì,volli provare lo stato della mia voce in prospettiva del pomeriggio successivo dedicato ai canti natalizi con gli ospiti della residenza Non ti scordar di me, mi sarei messa a piangere. E’ vero che non dovevo cantare alla Scala, ma il raffreddore che mi aveva costretta a rimandare l’appuntamento continuava ancora a spadroneggiare ampiamente sulle mie corde vocali. Però non volevamo rimandare ulteriormente l’appuntamento, visto che il Natale è già alle porte. D’altra parte non volevo neppure che quello che avrebbe dovuto essere un momento di felicità e benessere per tutti fosse compromesso proprio dalla mia voce disarmonica. Infatti, per quella che è l’esperienza che mi sono fatta durante tutti questi anni di frequentazione con gli ospiti della tua casa, se è vero che la malattia di Alzheimer toglie gradualmente la facoltà di agire e interagire in maniera logica, non mi pare altrettanto vero che sia compromessa l’emotività e la capacità di accettare e lasciarsi coinvolgere da qualcosa di piacevole o di rifuggire e chiudersi di fronte a qualcosa che può far sentire a disagio o impaurire. In preda a questi pensieri e preoccupata dallo stato della mia voce mi convinsi che avrei dovuto fare di tutto per coinvolgere emotivamente, in positivo, gli ospiti e, allo stesso tempo, avere un aspetto tranquillizzante. Decisi che mi sarei vestita di bianco e così, insieme al vestito lungo di trine, tirai fuori dai cassetti e dalla naftalina un bolerino di merletto di lana un po’ ingiallito fatto dalla mamma una quarantina di anni fa e uno scialle un po’ più recente, all’uncinetto, della stessa artefice. Mi sono resa conto di aver scelto bene quando la maggior parte delle ospiti ha cominciato ad interessarsi al mio abbigliamento e qualcuna mi ha chiesto chi avesse fatto quei lavori con la lana. Quando ho risposto che si trattava di mia madre, Giuliana mi ha sorpreso dicendo (senza mostrare la minima emozione e con molta serietà) “ Bene, lei ora è qui con noi perché ci sono i suoi bei lavori e noi la ricordiamo guardandoli” Mi sarei messa a piangere. Nel frattempo un’altra ospite di cui non ricordo il nome ha preso a ricordare il quartiere dove abitava a Roma e si mostrava molto contenta dal fatto che mio marito fosse andato nella stessa scuola frequentata da sua figlia. E così, dopo aver fatto un po’ di salotto, abbiamo cominciato con Tu scendi dalle stelle. Quasi tutti cantavano con noi, sostenuti dalla chitarra di Gastone e dal mio canto che, a ventiquattr’ore di distanza era meno peggio di quanto si prospettasse il giorno prima. Un’ospite che prima di iniziare mi aveva un po’ preoccupata perché continuava a chiedere con insistenza e agitazione di voler andare a casa e pareva non volesse calmarsi, si era seduta tranquilla in poltrona e non dava alcun segno di insofferenza o di voler andare via. Evidentemente si sentiva a casa.
E così il pomeriggio si è snodato tranquillo tra un canto e l’altro, in italiano, in tedesco, in inglese, in napoletano –che qualcuno, non so come, ha riconosciuto- e perfino in gallese e in catalano. Tutti seguivano la musica con espressione rilassata e attenta allo stesso tempo. E devo dire che, proprio quando è venuto fuori qualcosa di cui anche io sono stata particolarmente soddisfatta –non ricordo , forse Stille Nacht/ Astro del Ciel- qualcuno alla mia destra ha detto forte “Bravi!!!!” evidentemente rendendosi ben conto che eravamo in due. Jingle Bells è stata accompagnata da batter di mani ritmico e il Valzer delle candele è stato adeguatamente danzato da Sabrina insieme ad un’ospite. Quattordici canti natalizi : un’ora e mezzo di attenzione e interazione, nessun disturbo, applausi al punto giusto, accenni di canto e canto: laddove io cantavo Venite adoremus Dominum, qualcuno terminava cantando: venite adoriamo il Signor, in una perfetta traduzione simultanea.
E alla fine ancora un po’ di salotto, mangiando il pandoro e intrattenendoci un po’ con tutti, ascoltando quello che volevano dirci , accettando con gioia il ricordino fatto dalle loro mani e salutandoli uno ad uno: tutti ci hanno dato la mano, anche chi non ha saputo dirci arrivederci. Tutti hanno risposto ai baci.
Gastone ed io non avremmo potuto essere più felici se ci fossimo esibiti al Metropolitan.
Queste cose mi sconvolgono sempre un po’, cara Vera. Un uomo è fatto di ragione e sentimento e quanto più vediamo la ragione allontanarsi e perdersi, tanto più osserviamo rimaner vivi e acuirsi il sentimento e l’istinto che, liberandosi, possono offrire ancora qualità di vita a chi - colpito dalla malattia - ha la fortuna di trovare persone come voi, che sanno mettersi in sintonia con lui.
Grazie, anche da parte di chi non può dirvelo.
Angela
Siena, 18 dicembre 2015.
Pubblicato il: 01-04-2016 - Categoria : News
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